Pubblico questo articolo proprio oggi che sto per iniziare un ciclo yoga con una decina di bimbi di tre anni....leggo con attenzione..in modo da educare piccoli allievi felici e non oppositivi! ;)
Sembra che molti genitori di bambini piccoli, nell’ansia di
non voler essere negligenti né irrispettosi, abbiano esagerato nel verso
opposto.
Ci è voluto del tempo prima che il senso di ciò che
osservavo si facesse strada nella mia mente “civilizzata”. Avevo trascorso più
di due anni nella giungla del Sud America vivendo a contatto con Indiani
dell’età della pietra.
I maschietti viaggiavano con noi quando ingaggiavamo i padri
come equipaggio e guide, inoltre restavamo spesso giorni o settimane nei
villaggi degli indiani Yequana, dove i bambini giocavano tutto il giorno senza
la supervisione di adulti o adolescenti.
La Maniera degli Yequana
Esiste un’espressione Yequana che sta più o meno per “Sono
ragazzi!”; ha però una connotazione positiva e si riferisce agli entusiasmi dei
ragazzi maschi quando corrono, gridano eccitati, nuotano nel fiume o giocano a
una sorta di badminton Yequana (un gioco non competitivo in cui tutti i
giocatori cercano di tenere in aria il più possibile un volano fatto di foglie
di granturco colpendolo con le mani aperte).
Ho sentito molte grida e risate quando i ragazzi giocavano
all’aperto, tuttavia, quando erano all’interno delle capanne abbassavano la
voce per mantenere la quiete che vi regnava. Non interrompevano mai la
conversazione degli adulti e in genere parlavano pochissimo in loro presenza,
limitandosi ad ascoltare e a svolgere piccoli servizi come distribuire il cibo
o le bevande.
Ben lontani dall’essere disciplinati o repressi in
comportamenti compiacenti, questi piccoli angeli erano rilassati e gioiosi. E
crescendo diventavano adulti felici, sicuri di sé e collaborativi!
Come ci riuscivano? Cosa sapevano gli Yequana a proposito
della natura umana che a noi sfugge? Cosa possiamo fare per ottenere relazioni
non oppositive con i nostri figli durante la prima infanzia, o in seguito se
sono stati sviati da un inizio infelice?
L’esperienza “civilizzata”
Nella mia pratica professionale le persone mi consultano per
superare gli effetti deleteri di credenze su se stessi che si sono formate
nell’infanzia(1). Molte di queste persone sono genitori desiderosi di non far
subire ai figli il genere di alienazione che loro stessi hanno sofferto per
mano dei genitori, di norma ben intenzionati. Vorrebbero sapere come poter
crescere dei bambini felici e senza traumi.
Molti di loro hanno accolto i miei consigli e, seguendo
l’esempio degli Yequana, hanno tenuto i figli a stretto contatto fisico, giorno
e notte, finché non hanno iniziato a gattonare (2). Eppure, alcuni restano
sorpresi e sconcertati nello scoprire che i loro piccoli diventano “esigenti” o
rabbiosi, spesso proprio nei confronti dei genitori tanto premurosi. Profondersi
in dedizione e sacrifici non migliora la disposizione dei bambini. Sforzi
sempre maggiori per placarli non fanno altro che amplificare la frustrazione
sia nel genitore, sia nel bambino. Perché allora gli Yequana non avevano gli
stessi problemi?
Giocare col bambino, parlargli, ammirarlo tutto il giorno,
lo priva della fase in braccio in cui è un semplice spettatore, che lo fa
sentire bene. Incapace di dire ciò di cui ha bisogno, si esprimerà attraverso
il malumore. Cerca di attirare l’attenzione dell’adulto, ed ecco la causa della
comprensibile confusione, il suo proposito è di modificare l’esperienza di
insoddisfazione facendo sì che l’adulto si occupi delle proprie attività con
sicurezza, senza mostrare di dover chiedere il permesso al bambino.
Una volta risolta e corretta la situazione, il comportamento
che attira attenzione, e che scambiamo per un impulso permanente, sparirà. Lo
stesso principio si applica agli stadi di crescita che seguono la fase in
braccio.
Dopo si sentiva consumare dal senso di colpa e cercava di
“rimediare” con scuse, spiegazioni, abbracci, o doni speciali che dimostrassero
il suo amore – a quel punto il suo prezioso bambino avrebbe risposto inscenando
nuove pretese a suon di capricci e sfuriate.
A volte interrompeva i tentativi di compiacerlo e in
silenzio si dedicava alle sue attività, nonostante le urla e le proteste. Se,
infine, riusciva a tener duro abbastanza perché lui cedesse al tentativo di
controllarla e si calmava, quando poi la fissava coi suoi begli occhi dolci e
le diceva: “ti voglio bene mamma!”, lei, quasi sottomessa dalla gratitudine per
questo momentaneo sollievo dal fardello della colpa che nutriva in petto,
sarebbe presto tornata a mangiare di nuovo dalla sua manina paffuta e sporca di
marmellata. Lui avrebbe ripreso il piglio pretenzioso di comando, poi sarebbe
diventato sgarbato e rabbioso e l’intero scenario doloroso si sarebbe ripetuto,
acuendo la disperazione della mia cliente.
Ho ascoltato molte storie analoghe dai miei clienti negli
Stati Uniti, Canada, Germania e Inghilterra, perciò credo sia giusto affermare
che il problema sia prevalente fra i genitori della società occidentale più
istruiti e ben intenzionati. Lottano con figli che sembrano voler tenere gli
adulti sotto controllo e obbedienti a ogni loro capriccio.
A peggiorare la situazione, molti credono che questo
fenomeno avvalori la tesi molto diffusa secondo cui la nostra specie, unica fra
tutte, sia per natura asociale e richieda anni di opposizione (“disciplina”,
“socializzazione”) per dare buoni frutti e diventare “buona” . Come gli
Yequana, anche i balinesi e numerosi altri popoli al di fuori della nostra
orbita culturale mostrano come una simile tesi sia del tutto errata. I membri
di una società non fanno che rispondere ai condizionamenti della propria
cultura, quale che sia.
La strada verso l’armonia
Qual è, allora, la causa di tanta infelicità? Cosa abbiamo
frainteso della natura umana? E cosa possiamo fare per avvicinarci all’armonia
che gli Yequana godono con i loro figli?
Mi sembra che molti genitori di bambini piccoli, nell’ansia
di non essere negligenti né irrispettosi, abbiano esagerato nel verso opposto.
Come martiri ingrati della fase in braccio, si sono concentrati sui loro figli
invece di dedicarsi alle proprie occupazioni da adulti, che i bambini
potrebbero osservare, seguire, imitare e assistere com’è nella loro tendenza
naturale.
In altre parole, poiché un bambino piccolo vuole imparare
ciò che fa la sua gente, si aspetta di poter concentrare la propria attenzione
su un adulto che è intento alle proprie attività. Un adulto che interrompa
qualsiasi cosa stia facendo e cerchi di capire ciò che il figlio desidera che
lui faccia, manda in cortocircuito una tale aspettativa. Per non menzionare il
fatto che l’adulto apparirà al bambino incapace di comportarsi, insicuro e,
cosa ancor più allarmante, in cerca di una guida da un piccolo di due o tre
anni che si affida al genitore per la propria calma, competenza e sicurezza.
La reazione più probabile del bambino piccolo all’insicurezza
genitoriale è quella di spingere ancor più l’adulto fuori dagli equilibri,
testando la possibilità che esista un terreno in cui il genitore si senta
finalmente fermo e sicuro, alleviando l’ansia generata dal non sapere chi deve
fare da guida. Potrebbe continuare a disegnare sui muri dopo che la madre lo
abbia pregato di smettere, con un tono contrito e di scusa che gli fa intendere
quanto lei non creda che lui obbedirà. Quando poi gli avrà sottratto i colori,
mostrandosi timorosa della sua possibile reazione di rabbia, lui – poiché è una
creatura davvero sociale – asseconderà le aspettative della madre e si produrrà
in urla di furore.
Se, interpretando male la sua rabbia, la madre cercherà
ancor più di capire cosa vuole, pregando, spiegando e mostrandosi sempre più
disperata di poterlo calmare, il bambino sarà costretto ad avanzare pretese
ancor più oltraggiose e inaccettabili. Continuerà finché la madre non prenderà
le redini della situazione e l’ordine sarà restaurato.
Potrebbe ancora non esserci una figura autorevole, calma,
sicura di sé e affidabile, in quanto la madre passa ora dal punto in cui perde
la pazienza a quello in cui il senso di colpa e i dubbi sulla propria
competenza risollevano le loro teste tremanti. Ciò nonostante, il bambino avrà
la magra consolazione di vedere che quando le cose si fanno davvero difficili,
lei lo solleva dal comando e placa il suo terrore di dover in qualche modo
sapere ciò che deve fare la madre.
Detto in parole semplici, quando un bambino è costretto a
tentare di controllare il comportamento di un adulto, non è perché vuole
riuscirci, ma perché ha bisogno di essere certo che l’adulto sappia cosa sta
facendo. Inoltre, il bambino non può smettere di “testare” le reazioni
dell’adulto fintanto che costui non mostri di essere fermo e sicuro e il
bambino non ne abbia la certezza.
Nessun bambino si sognerebbe mai di strappare l’iniziativa
all’adulto a meno che non riceva il chiaro messaggio che una tale azione sia
attesa: non voluta, bensì attesa! Ma quando il bambino sente di aver ottenuto
il controllo, diventa confuso e spaventato e farebbe qualsiasi cosa pur di
indurre l’adulto a riprendersi il ruolo di guida che gli spetta.
Una volta che questo sia chiaro, il timore dei genitori di imporsi
al bambino svanisce e non è più necessario il contrasto. Se mantengono il
controllo, soddisfano i bisogni del loro adorato figlio, anzichè agire in
opposizione ad essi.
Alla mia cliente della costa orientale le ci vollero una o
due settimane per vedere i primi risultati legati a questa nuova
consapevolezza. Dopodiché, generazioni di fraintendimenti e la forza delle
vecchie abitudini resero non proprio facile la transizione familiare verso una
modalità non avversativa. Oggi, grazie alla loro esperienza felice e insieme a
molti altri miei clienti afflitti dagli stessi problemi, lei e il marito sono
convinti che i bambini, ben lungi dall’essere oppositivi, siano per natura
profondamente sociali.
Aspettarsi che lo siano è ciò che permette loro di esserlo.
Non appena le attese dei genitori sulla socialità del figlio vengono percepite
da lui, ecco che si realizzano; in modo analogo, nei genitori che sperimentano
la socialità del bambino se ne rafforza l’aspettativa. Funziona così. In una
bella lettera inviatami dal marito della mia cliente della costa orientale,
egli scriveva a proposito della moglie, del figlio e di se stesso: “Siamo
cresciuti e abbiamo imparato, ci siamo amati l’un l’altro in modo miracoloso.
Le nostre relazioni reciproche continuano a evolversi in una direzione positiva
e piena d’amore“.
Traduzione dall’inglese da Michela Orazzini. Tratto da www.continuum-concept.org
sai che sono riflessioni che mi stanno occupando la testa in questi giorni? Ed è stato utile vederle scritte e poterci ragionare su...Il problema resta come cambiare direzione non troppo bruscamente quando gli anni del bambino non sono più 3 ma 10...
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