15 agosto 2014

Attorno al respiro

L’aria fluisce entra nel corpo, ruota, come una girandola, e si espande. Invade ogni spazio, ogni centimetro per poi fer­marsi e unirsi, anche se per pochi istanti, con ciò che ogni individuo racchiude in se stesso. E in un soffio svanire e liberare il grande potere creativo che ognuno porta dentro di sè. E questa liberazione, nello yoga, è conosciuta come Samadhi: un incontro che avviene fra il sè in­dividuale e l’anima universale, in un semplice respiro. Nello Hatha Yo­ga Pradipika, l’antico testo sacro, si legge: “Il respiro è la chiave per l’emancipazione finale.” Quando è eseguito correttamente e quando il praticante è pronto, il pranayama è in grado di fornire un ponte tra il sé individuale e l’anima universale.

B.K.S. Iyengar spiega come le tre fasi del respiro nel Pranayama - inspiro (pùraka), ritenzione (kumbhaka), ed espirazione (rechaka), ci possono connettere all’anima universale. Durante l’inspirazione, stiamo invitando il prana ad entrare. Secondo il guru, il sé individuale deve, quindi, farsi da parte per lasciare spazio all’anima: ecco che l’energia si epande e la consapevolezza interiore accresce. B.K.S. Iyengar, quando invita a pensare al contatto del respiro con il polmone interno come alla connessione, appunto, tra anima universale e sè individuale. Quando fermiamo con coscienza il flusso del respiro (ritenzione), organizziamo i pensieri della mente e l’esperienza del corpo. La lunghezza della ritenzione varia. Dovrebbe durare solo fino a quando il contenuto (prana) comincia ad allontanarsi dal contenitore (il polmone). Dobbiamo tenere la mente connessa all’esperienza del corpo, per sapere esattamente in che momento l’anima e ilsè iniziano a separarsi l’uno dall’altro. Qui deve iniziare l’espirazione. Sviluppare la capacità di sentire qualcosa di così sottile, richiede una pratica regolare.

B.K.S Iyengar ritiene che nella respirazione normale, sia il cervello a iniziare l’azione di inspirazione e tragga energia a se stesso. Ciò lo mantiene in uno stato di tensione e quindi il respiro è più corto. Nel pranayama, invece, il cervello rimane passivo, e sono polmoni, ossa e muscoli del tronco ad avviare l’inspirazione e a trarne beneficio. «Il respiro – dice il guru - deve essere adescato o blandito, come si cattura un cavallo in un campo, non rincorrendolo, ma stando fermi con una mela in mano. Nulla può essere forzato: la ricettività è tutto». Dobbiamo eseguire pranayama con la nostra intelligenza, non con il cervello, sostiene Iyengar. Praticando e regolando il flusso di prana con l’osservazione misurata e la distribuzione del respiro, la mente diventa calma. Quando ciò accade, siamo in grado di portare all’interno l’energia che normalmente usiamo per gestire e relazionarci con il mondo.

Gli asana, insegna il guru, rendeno il corpo adatto al pranayama, e il pranayama rende la mente adatta alla meditazione. Non si può meditare se il praticante «è sotto stress, ha un corpo debole, polmoni deboli, muscoli rigidi, colonna vertebrale fragile, mente fluttuante, agitata, o timidezza». Il praticante, infatti, dovrebbe già avere raggiunto uno stato rilassato in corpo e mente prima che la meditazione possa accadere. Se eseguito correttamente e senza sforzo, il pranayama rinfresca e riposa il cervello e inonda il corpo con energia vitale. Allevia lo stress e, di conseguenza, ci prepara alla vera meditazione. Iyengar avverte anche che, se in qualsiasi momento durante la pratica del Pranayama si sente dolore alla testa o tensione alle tempie, significa che stai avviando il respiro dal cervello, non dai polmoni. Se ciò accade, torna a un respiro normale e rilassati.

Fonte: un articolo di Leslie Peters

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